di Arianna Beretta
Da anni Massimo Dalla Pola concentra il suo lavoro in- torno ad un tema centrale del pensiero filosofico occidentale, la relazione dell’uomo con l’altro da sé. Ma non c’è nulla di scontato né di banale nella ricerca artistica e nelle opere di questo artista milanese che ha esordito con la sua prima personale nel 2002 alla galleria Luciano Inga-Pin di Milano.
Partendo da una solida base filosofico-culturale, che gli deriva dal suo essere uno storico dell’arte, l’artista rileva e mette in scena la relazione che l’uomo ha con l’esistente, con cui nel corso della storia è stato obbligato a confrontarsi, a relazionarsi e a interagire, e con le opere da lui stesso create.
Si badi a non parlare di evoluzione, termine da sempre associato ad un’idea fin troppo ottimista di progresso e miglioramento. Dalla produzione di Dalla Pola si evince invece una sorta di sconfitta e regressione della scienza e della ragione umana.
Nelle sue opere però non emerge nessun giudizio e nessuna morale: ciò che possiamo vedere e leggere è una rappresentazione della condizione esistenziale dell’uomo di oggi. Una presa d’atto.
“L’uomo è comunque sempre presente nella mia poetica, ma il suo volersi estraniare dalla natura attraverso una conoscenza scientifica esclusivamente strumentale ai suoi fini, lo tiene lontano dal mio discorso, anche se tutto è riferito a lui: lo analizzo rispetto a tutto ciò che ha incontrato e agli effetti di questi incontri”, sostiene Dalla Pola. I riferimenti storico-artistici dell’artista milanese denunciano un approccio scientifico all’arte e non soggiaccio- no alle suggestioni comuni: i modelli sono tratti infatti dalle cosiddette arti minori, l’illustrazione, l’acquarello, dagli anonimi artisti del medioevo europeo e da quelli ingiustamente considerati “minori” dalla storia dell’arte; artisti che potremmo considerare come i precursori di quella che oggi amiamo definire “arte pubblica”. Nel passato, infatti, persone del tutto anonime dispiegavano teorie e cicli artistici di grande valenza culturale ma al tempo stesso assolutamente popolare. Gli antichi cicli medievali venivano compresi non solo nella forma ma anche nel significato. Una qualità che l’arte di oggi ha probabilmente perduto per sempre. Ma non nei lavori di Dalla Pola, la cui iconografia è molto semplice, comune perché non c’è necessità di metaforizzare nulla.
La linea che contraddistingue i suoi lavori è l’unico elemento, l’unico aspetto di modernità. Il suo uso quasi scientifico, che punta all’annullamento della decorazione e che indaga le forme e dona loro un aspetto rag- gelato e glaciale, deriva dalle avanguardie storiche (e da Mondrian che l’autore dichiara di amare) ed è associata a colori piatti e all’utilizzo ingente del bianco. La semplificazione del segno si configura quindi come il paradigma di un procedimento che vuole essere scientifico e razionale.
I lavori di Dalla Pola godono di un’estrema libertà per quanto riguarda le tecniche, i medium e le materie. Forma e sostanza si adeguano sempre all’idea e diventano strumentali alla sua realizzazione. Spesso anzi i pro- cedimenti non sono ortodossi in quanto mirano a indagare fino in fondo le potenzialità e i limiti dei mezzi utilizzati. Non si tratta dunque di una questione estetico-formale, né della ricerca della perfezione e della bellezza o, peggio, della decorazione. Il procedimento utilizzato porta al limite, esaspera il soggetto raffigurato senza cedere alla tentazione della perfezione che pure questi strumenti possono aiutare a raggiungere. L’analisi storico-filosofica del- l’uomo nella storia e nella sua relazione con le “cose” di Dalla Pola ci pone davanti a interrogativi che mandano in frantumi le nostre certezze acquisite nel corso del tempo e provoca- no un ribaltamento e una sospensione delle nostre convinzioni senza ricorre- re a immagini forti e inutilmente provocatorie, grazie ad una forma e una linea semplice ma densa di significato. Dalla Pola è dunque artista in questo approccio critico, lucido e puntuale alla realtà dell’uomo nel suo cammino attraverso i secoli.
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