Andrea Fiorino | Lost Paradise

di Elisa Fusi

Lost Paradise è un progetto che nasce dalla riflessione di Andrea Fiorino su un possibile mondo preadamita, un paradiso perduto, e sperduto, in cui arcaiche presenze misteriose conducono una vita sospesa nel tempo e nello spazio, in uno stato di recondita armonia con una natura primigenia e incontaminata. Simile a un paradiso terrestre raffigurato da un bambino, questo mondo dispiega un Eden bucolico che immerge figure umane e animali in una vegetazione rigogliosa, traboccante di bacche e fiori e attraversata da corsi d’acqua e praterie. Questi esseri vivono in una tale simbiosi con la natura che si vestono di piume, foglie, rami e fiori, si mimetizzano e adottano decorazioni tribali e ornamenti variopinti con lo scopo di attirare prosperità e dialogare con gli spiriti. È evidente come in questa analisi antropologica l’artista sia suggestionato da sculture, totem e maschere di popoli precolombiani, nonché dall’attenzione riservata al primitivo da parte di alcune correnti artistiche del secolo scorso, come l’Espressionismo tedesco e il Fauvismo. Di queste ultime Fiorino ha interiorizzato la semplificazione delle forme e l’immediatezza espressiva, l’uso della linea di contorno e l’attenzione per il colore, incredibilmente vivido.

Attraverso questa pittura dai toni brillanti e dai tocchi stratificati, Fiorino mette in scena un universo dai tratti mitici e arcani, in cui acqua, aria, terra e fuoco sono i quattro elementi che caratterizzano la vita dei personaggi. E come accade in natura, per cui tutto si rigenera e si trasforma senza fine, anche i protagonisti partecipano a un disegno immortale basato sulla ciclicità di morte e rinascita.
Nei lavori realizzati per la mostra, il corpo diventa allora una ferita da cui esce una nuova vita, una porta da attraversare, la cui soglia è posta a livello del ventre, sede della procreazione. Questo varco rappresenta un duplice rimando iconografico: da un lato al mito della creazione di Eva dalla costola di Adamo, dall’altro al mito dell’Androgino, contenuto nel Simposio di Platone, che narra come l’ombelico sia il segno della ferita impressa da Zeus nel momento in cui separò l’uomo dalla donna, originariamente uniti nella figura dell’androgino.
Fiorino arricchisce la narrazione con riferimenti alla cosmogonia delle civiltà amerindie, e in particolare al Popol Vuh, una raccolta di leggende maya che narra come le divinità crearono l’uomo prima modellandolo con il fango, poi con il legno, e infine con il mais, su suggerimento di quattro animali: una lince, un coyote, un pappagallo e un corvo, tutte figure riscontrabili nelle opere dell’artista.
Il riferimento a una valenza spirituale, espressa tramite un’arcana simbologia, imprime alle opere una condizione di mistero e di magia, legata ai riti oscuri che vi si compiono, allo sprigionarsi delle forze primordiali della natura e agli sguardi fissi, inquisitori e ipnotici, che scrutano oltre la tela.

Stilisticamente, la pittura di Fiorino è semplificata e antiprospettica, stilizzata e vagamente naïve. Una pittura fuori dagli schemi, capace di trasmettere un’atmosfera dal fascino esotico e lontano, tramite una tavolozza di colori sgargianti. Le ambientazioni primitive e magiche che l’artista rappresenta, si dispiegano su una tela libera e sciolta da supporti rigidi, trattata come fosse un arazzo e incorniciata con stoffe e inserti decorativi.
Seguendo la realizzazione di questi arazzi dipinti, si intuisce come per Fiorino la pittura sia una progressiva modifica e una continua aggiunta di dettagli, un percorso di stratificazione e riempimento attraverso cui la scena si carica di soggetti e decorazioni, di macchie e pennellate.
Una pittura che procede per fasce sovrapposte dalla terra al cielo, con stesure di colore piatte, senza prospettiva e ombreggiature, il cui effetto è l’annullamento della profondità e del peso dei personaggi. Ne è un esempio Senza cielo e senza terra su cui camminare: il paesaggio è privo di profondità ed è evidente l’appiattimento del fiume, delle montagne e degli alberi, trasformati in un fondale bidimensionale contro cui si stagliano personaggi simili a marionette. È una modalità di rappresentazione che Fiorino riprende dall’arte medievale, dove la concezione dello spazio non si curava di prospettiva, proporzioni, profondità, e saturava il campo visivo. Oltre ciò, l’artista trae dall’iconografia sacra gesti e posizioni: evidente il richiamo alle deposizioni, per i corpi raffigurati orizzontalmente, o ai battesimi, per l’immersione di alcuni personaggi nell’acqua.

Fiorino è come un narratore di storie: ci affabula con una pittura di grande efficacia per raccontarci un mondo ancestrale, silenzioso e magico, nel quale è facile immergersi. Chi osserva diventa un esploratore che si avventura oltre la soglia della rappresentazione, attraversa fiumi e montagne, trascorre giorno e notte nella foresta, partecipa ai riti di misteriosi abitanti, ascolta il fruscio del vento tra le foglie e lo scoppiettio del fuoco che arde. La pittura si fa scrittura, racconto infinito e aperto alla suggestione della fantasia.

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