Riccardo Gusmaroli, parlo dell’eccellente e non del goffo*

di Marta Cereda

Seppur armati di mappe stellari o di carte geologiche, astronomi esperti o improvvisati non troveranno corrispondenze con la Costellazione ed i Vulcani di Riccardo Gusmaroli.
L’assenza di un riferimento reale non impedisce, però, di considerare anche queste sue opere su carta come un’evoluzione, o meglio, analizzando la sua poetica, una divagazione rispetto alla sua riflessione sul territorio: un’estrema astrazione delle-dalle sue cartine geografiche, da cui manca ora qualunque indicazione di scala o di percorso, ma sulla quale sono rappresentati solo gli elementi essenziali di un’area spaziale, terrestre o celeste.
Vengono alla mente i plans-reliefs, modellini tridimensionali diffusi in Francia dal Seicento all’Ottocento, che riproducono dall’alto la cartografia cittadina, oppure quelle mappe di plastica, con la cima dei monti in rilievo per farne meglio comprendere la disposizione.
Le opere di Riccardo Gusmaroli implicano, infatti, l’uso di almeno due sensi. Hanno una vocazione fortemente tattile, non solo perchè per realizzarle l’artista usa le dita, piega la carta, incolla e sovrappone cartoncini di spessore e colore diversi, incide, solleva i bordi, ma anche perchè non basta osservarle, ci si avvicina fino al punto di sfiorarle, pur essendo intimoriti dal candore dei materiali utilizzati e dalla loro fragilità.
La tridimensionalità è una caratteristica evidente ed imprescindibile per le opere in mostra, che riprendono la riflessione sulla possibilità di invadere lo spazio con la tela (o la carta, in questo caso) dello Spazialismo, alleggerendola notevolmente e, in qualche modo, ironizzandoci anche un po’.
L’estrema pulizia formale, il rigore geometrico di Costellazione sono evidenti: un unico modulo piegato come un origami giapponese viene ripetuto in dimensioni variabili e viene collocato nello spazio senza una linearità regolare, ma con una traiettoria orizzontale comunque individuabile. Non si tratta di estroflessioni, perchè, nonostante da lontano l’impressione possa essere simile, il lavoro manuale di apposizione delle costruzioni in cartoncino non prevede una modifica strutturale del supporto e perchè esiste comunque un riferimento al concreto, che suggestiona.
I Vulcani, invece, suggeriscono una sottrazione. Il buco nel cartoncino invita a guardare all’interno, quasi come se fosse un pozzo o quella tana di coniglio che permise ad Alice di esplorare un mondo meraviglioso, mentre il colore dorato delle pareti che balugina dalle fessure ricorda che c’è il rischio di scottarsi. Anche in questo caso un lavoro da amanuense, che richiama le decorazioni nei margini dei codici medievali, per la ripetizione di uno stesso modello, per l’uso del colore, per il desiderio di leggerezza e di armonia nella composizione.
La ricerca di equilibrio di Riccardo Gusmaroli (impossibile non pensare ai suoi castelli di carte) si traduce nella capacità di comprendere il punto in cui è necessario fermarsi, per evitare un effetto kitsch o ridondante, nella consapevolezza che talora la sottrazione diviene un’operazione necessaria, pur se l’idea di horror vacui è tanto presente nella sua produzione artistica.
E’ del poeta il fin la meraviglia** scrisse il cavalier Marino, in pieno Seicento. La critica ha spesso definito le opere di Riccardo Gusmaroli come barocche. Indubbiamente hanno la capacità di raggiungere l’obiettivo che la poesia del tempo si poneva.

*Giovan Battista Marino, La murtoleide: fischiate.

**Giovan Battista Marino, op. cit..

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